Luciano Mecacci – Besprizornye. Bambini randagi nella Russia sovietica (1917-1935)

I besprizornye erano i bambini abbandonati che a frotte vivevano nelle città russe durante e dopo la Rivoluzione di ottobre del 1917. Si calcola che a un certo punto fossero qualcosa come quattro milioni di bambini dai quattro-cinque anni fino ai sedici-diciassette. In questo stupendo e doloroso libro, Luciano Mecacci ricostruisce con dovizia di particolari e tramite una variegata e attenta documentazione, in cui si avvale anche di film girati sui bambini di strada, come Un biglietto di viaggio per la vita di Nikolaj Ekk (1931), La repubblica della Škid di Gennadji Poloka (1966), Kortik di Nikolaj Kalinin (1973), le origini del fenomeno e del perché si sviluppò e non scomparse neanche dopo anni di regime comunista.

I primi besprizornye erano i figli dei contadini ridotti alla fame o rimasti orfani durante la Prima guerra mondiale e in seguito alla Rivoluzione di Ottobre. Molte famiglie abbandonavano i propri figli nelle città o nelle campagne, incapaci ormai di sostentarli. Questi bambini, una volta abbandonati, vagavano per le città e le campagne e infine si riunivano in bande, molto spesso dedicandosi a furti, spaccio di droga, prostituzione, violenze e talvolta omicidi. Erano diventati temibili e pericolosi. Nelle grandi città come Mosca dormivano nei sotterranei, in luoghi insalubri, sporchi, in luoghi di fortuna. Loro stessi erano sempre sporchi e ricoperti di pidocchi, problema che li portava a grattarsi continuamente, procurandosi di sovente delle ferite. Quando andava bene, chiedevano l’elemosina vicino ai tram e alle fermate degli autobus. Alcuni provavano pietà per loro, altri li disprezzavano e molti di essi furono indicati come figli dei kulaki, i contadini cosiddetti ricchi, che secondo la propaganda comunista erano gli affamatori del popolo, parassiti da estirpare dal tessuto della società e ogni mezzo, naturalmente, era lecito e giusto.

Le autorità sovietiche a un certo punto cercarono di arginare il fenomeno, portando questi bambini, che a volte morivano letteralmente in mezzo alla strada, negli orfanotrofi, ma anche qui spesso non avevano di che mangiare e le camere non erano nemmeno riscaldate e inoltre, dopo anni di vita libera e senza restrizioni, erano diventati incapaci di sottostare all’autorità di un adulto. Si annoiavano in quei casermoni e la libertà, violenta e senza pietà della strada, era ciò che spesso sognavano di ritrovare.

Negli anni Trenta, visto che il problema non si risolveva, i besprizornye furono arrestati e uccisi e altri spediti nei GULag a migliaia, in mezzo agli adulti. Nei GULag subirono violenze di tutti i tipi, anche sessuali. Anche Aleksandr Isaevič Solzenicyn parla di loro in Arcipelago Gulag, come riportato da Mecacci. La decisione non risolse il problema e sempre negli anni Trenta, in seguito alla collettivizzazione forzata di milioni di contadini, in molte aree dell’Unione Sovietica, soprattutto in Ucraina e nel Volga, scoppiò una tremenda carestia. Ci furono molti casi di cannibalismo, madri e intere famiglie uccisero e mangiarono i propri figli, i corpi nei cimiteri furono trafugati per essere mangiati. In quella situazione di persone ridotte alla fame e impazzite i bambini furono i più vulnerabili ed esposti a finire uccisi e mangiati. Alcune bande di besprizornye furono arrestate in alcuni distretti con l’accusa di cannibalismo.

Per concludere, il libro di Luciano Mecacci è un unicum nel panorama italiano sul fenomeno dei bambini di strada nella Russia sovietica. È certamente pesante leggere gli orrori e le crudeltà di quegli anni, ma è necessario per ricordare quei bambini e per avere un quadro storico e sociale più completo dell’esperienza comunista in Russia. Purtroppo bisogna constatare che il fenomeno è tornato di attualità nella Russia post-sovietica, anche se non più con i numeri di cento anni fa. Ancora oggi, infatti, il fenomeno non è stato del tutto estirpato.

 

Mecacci, Luciano, Besprizornye. Bambini randagi nella Russia sovietica (1917-1935), Milano, Adelphi, 2019, pp. 267.

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